rovinarsi la buddità?

Sì, perché un blog serve anche a ricordarsi quando non si è propriamente in forma.
No, non sono in fase buddità post vacanze, bensì sull’orlo del male oscuro.
Chi è fuori vede solo una persona che è persa nei suoi pensieri, non troppo concentrata sul lavoro, non troppo presente sulle questioni contingenti, magari seduta a pensare.
Un’apparente serenità.
In realtà sono molto centrata su me stessa, anzi impegnata a convogliare le energie per le cose basilari come alzarsi la mattina, lavarsi, non scrivere cazzate nelle mail, andare a prendere turisti rintronati, parlare con i suddetti, andare a casa, respirare…
Fighissimo.
Ieri, ad esempio, sono entrata al supermercato e sono rimasta quindici minuti davanti al banco frigo a fissare il vuoto. Poi è balenato un pensiero: con cosa posso cenare? Troppo complesso e così sono uscita e sono andata verso casa.
So che se mi fossi imposta di fare la spesa sarebbe stato peggio.
Come del resto, scesa dal vaporetto, mi sono seduta su una panchina a leggere e non sono andata a casa finché non ho finito il libro.
L’idea di quel tratto di strada mi infastidiva, ma soprattutto mi turbava lasciare un capitolo a metà.

Mancavano solo gli atti ripetitivi compulsivi alla mia lista.
Fighissimo e due.
Sono terrorizzata dall’idea di ricominciare a lavorare in aeroporto, non tanto perché non mi piace il lavoro (anzi, mi diverto, i colleghi sono simpatici, è un bell’ambiente), ma perchè penso all’eventualità che possa venirmi un attacco di panico lì per lì.
La mente lavora sul binario del “e se”?
Che poi, cavolo, è proprio sbagliato.

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